I due acronimi DSA e ADHD stanno per Disturbi Specifici dell’Apprendimento e Disturbi da Deficit di Attenzione e Iperattività. Due sigle asettiche, quasi algebriche, dietro le quali si occulta il disagio reale di bambini e famiglie e che spesso si conclude con insuccessi scolastici e percorsi biografici difficoltosi. Per queste ragioni sono state organizzate le due giornate di convegno che svilupperanno i temi più attuali legati a percorsi assistenziali per gli oltre 10 mila ragazzi che devono affrontare una condizione di svantaggio.
Da alcuni anni queste formule DSA e ADHD, sono uscite dai manuali e dagli studi specialisti diventando oggetto di attenzione da parte di insegnanti e genitori – fa sapere il Dr. Michele Margheriti, neuropsicologo del Centro Sabbadini, AIDAI tra i promotori della iniziativa – il 5% dei bambini in età scolare ne è affetto in misura più o meno severa e si tratta di disfunzioni che richiedono un trattamento specialistico sin dalle prime manifestazioni grazie all’aiuto della tecnologia e a strumenti psicoterapici e tecniche di autocontrollo. Il convegno non era più rinviabile: non verranno proposte soluzioni predeterminate, ma è necessario un confronto tra i diversi soggetti a vario titolo coinvolti per individuare soluzioni condivise.
Relativamente all’assetto normativo, si parlerà della proposta di legge regionale sui Disturbi del Neurosviluppo, concepita per individuare i percorsi di cura, i bisogni delle famiglie e la necessaria integrazione tra ambiti clinico-assistenziali e sociali oggi del tutto slegati.
A livello clinico, l’obiettivo del convegno è quello di segnalare l’esigenza di una complementarietà tra interventi scolastici e clinici anche dopo i 12 anni, perché se da un lato la diagnosi tempestiva resta un aspetto importantissimo, dall’altro i percorsi abilitativi possono essere efficaci anche dopo il periodo delle scuole elementari. La Scuola riveste quindi un ruolo centrale nel progetto di vita dei minori che presentano tali caratteristiche.
Dopo anni di studi, esperienze e ricerche sono due i concetti stabilizzati: il primo sottolinea come le buone pratiche didattiche per soggetti con DSA o ADHD siano buone pratiche per tutti; il secondo segnala la specificità del ruolo dell’insegnante, autonomo rispetto ai percorsi clinici e abilitativi e centrale nel contribuire ad un contesto inclusivo dove comunicazione, affetti e il senso di esserci e di contrare rappresentano gli elementi fondanti.
Infine – osservano gli organizzatori – occorre concentrarsi sui servizi del territorio. Famiglie con DSA o ADHD che sono portatrici di bisogni specifici e mutevoli nel tempo, presentano situazioni che possono essere condivise con percorsi comuni. Di qui l’esigenza di affrontare i problemi con il coordinamento del territorio che può organizzarsi in reti di orientamento e di supporto attraverso il protagonismo delle famiglie, delle associazioni, dei servizi e delle istituzioni.