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"Il Quadrifoglio"

Attività scuole e famiglie

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REGIONE UMBRIA – Bando PAR FONDO DI SVILUPPO E COESIONE (FSC – ex FAS) 2007-2013 – Azione I.3.1.

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Appunti sul bullismo: come riconoscerlo e come affrontarlo

Sia in età infantile che nel corso dell’adolescenza è molto difficile inserirsi all’interno del gruppo dei pari e spesso la ricerca di conferme sociali attraverso l’emulazione di modelli negativi rappresenta una soluzione,  seppur instabile. Per tali ragioni, tale dinamica comportamentale spesso si pone come la radice del fenomeno sempre più diffuso del “bullismo”. Per bullismo si intende una forma di aggressività e di prepotenza verso i più deboli, i più indifesi psicologicamente o fisicamente. È una forma di prepotenza che viene agita con intenzionalità cioè per fare male; è duratura nel tempo; c’è un asimmetria di potere tra il bullo e la sua vittima e tali ruoli rimangono fissi senza la possibilità di cambiamenti come avviene in tutte le altre relazioni.

Esistono diverse azioni che possono essere raggruppate sotto la denominazione “bullismo” e principalmente sono:

  1. azioni fisiche: che spesso sono quelle che, facendo più notizia, sono più note all’opinione pubblica; esse possono andare da episodi di aggressione lieve (tirare i capelli o spintonare), all’appropriazione o danneggiamento di oggetti altrui, fino alle forme più gravi di violenza fisica a mano libera o con l’uso di armi;
  2. comportamenti verbali : che comprendono diverse forme di minacce, insulti, prese in giro che possono riguardare temi scolastici, aspetti di personalità, caratteristiche fisiche (anche handicap o colore della pelle) e aspetti relativi alle preferenze sessuali;
  3. comportamenti indiretti : che costituiscono la modalità più subdola di bullismo, spesso basata sul pettegolezzo, sulla calunnia e miranti ad isolare ed escludere dal gruppo i destinatari.
  4. Cyber bullismo: le calunnie viaggiano sul web.

Gli attori:

Il bullo: appare caratterizzato da forte aggressività e impulsività. Gli scambi relazionali sono caratterizzati da deficit relativi a determinate abilità appartenenti alla cosiddetta intelligenza emotiva e in particolare risentono di bassi livelli nello sviluppo dell’empatia. Hanno inoltre bassa tolleranza alle frustrazioni e difficoltà nel rispetto delle regole. Appaiono bambini sicuri di sé che usano la violenza per ottenere i propri scopi a scapito di abilità verbali. Il rendimento scolastico è vario ma tende ad abbassarsi con l’età

La vittima: mai scelta a caso, visti dal bullo come indifesi e insicuri. Il suo profilo psicologico è quello di ragazzi con scarsa autostima opinione negativa di sé, calmi e sensibili ma che si chiudono in sé stessi se vengono attaccati. Incapaci di esprimere loro stessi, mancanza di assertività.

Il gruppo: uno dei principali fattori che possono innescare o sostenere comportamenti bullistici è rappresentato dall’importanza assunta dal gruppo dei coetanei su cui si può far leva per agire.

I meccanismi che caratterizzano chi prende parte all’azione sono:

  1. Diminuzione del senso di responsabilità individuale
  2. Deumanizzazione della vittima
  3. Colpevolizzazione della vittima (se lo è meritato)
  4. Teoria del capro espiatorio

Conseguenze: per il bullo se il comportamento dura a lungo può portare a devianza sociale, atti di vandalismo, problemi con la legge.

Per la vittima attacchi di panico, ritiro sociale fino alla depressione

Le conseguenze dipendono comunque dalla gravità della violenza e dall’interpretazione che ne dà la vittima.

E’ importante imparare a difendersi

Campanelli di allarme:

Bullo: incapacità di relazionarsi con gli altri, incapacità di vivere positivamente le proprie emozioni. Atteggiamento provocatorio verso il potere e l’autorità in genere, uso della violenza senza filtri, incapacità di mettersi nei panni dell’altro.

Vittima: desiderio di non andare a scuola o di non frequentare certi ambienti, chiusura, introversione, sintomi psicosomatici, disturbi del sonno, depressione.

Che cosa c’è dietro gli atti di violenza dei ragazzi?

L’aggressività fa parte della natura umana, va riconosciuta elaborata e sublimata deve essere trasformata in impegno e creatività non trasformata in violenza. Sono sensazioni fisiche piacevoli e dunque cercate non è una questione psicologica

Violenti per noia : ci sono ragazzi più violenti di altri. Modelli violenti che vengono seguiti ( famiglia, ambiente esterno, giochi)

Cosa fare:

Insieme alla famiglia, scuola, esperti

  • Educazione emotiva: conoscere i nostri figli e spiegare le nostre e le loro emozioni
  • Assertività esprimere le proprie credenze e emozioni in modo da diminuire l’aggressività e l’ansia (comprendere quanto si è simili agli altri e non solo unici)
  • Empatia (prendersi cura degli altri, mettersi nei panni dell’altro, parlare di sentimenti)
  • Suscitare interessi (sport, musica, feste, teatro)
  • Uso di regole condivise
  • Punizione che prevedono i principi della giustizia ripartiva (che salvaguardia la relazione e non il comportamento problematico in sé) e della violazione relazionale (non è la violazione della regola ma la narrazione per ciascuno di ciò che è successo e di ciò che hanno provato)
  • No disinteresse
  • Promuovere valori pro sociali
  • Comunicazione chiara

Cosa fare con una vittima

  • Accrescere l’autostima
  • Assertività
  • Capacità di difendersi
  • Amicizie
  • Renderlo attivo nelle soluzioni
  • Attuare comunicazione con le scuole

Con il bullo:

  • Insegnare l’empatia
  • Imparare a riconoscere i sentimenti del proprio figlio

D.sse Emanuela Castorri e Monia Ciafrino

[/fruitful_tab] [fruitful_tab title=”La Dislessia”]

Cos’è la dislessia?

La dislessia è un disturbo che riguarda la capacità di leggere e scrivere in modo corretto e fluente.

Leggere e scrivere sono atti così semplici ed automatici che risulta difficile comprendere la difficoltà di un/a bambino/a dislessico/a che fatica ad automatizzare questi processi.

In Italia la dislessia è ancora poco conosciuta, benché si calcola che riguardi almeno 1.500.00 persone. Nella popolazione scolastica si stima che mediamente ci sia almeno un alunno con DSA (disturbo specifico dell’apprendimento) per classe e meno della metà di questi ha ricevuto una diagnosi.

La dislessia non è causata né da un deficit di intelligenza né da problemi ambientali o psicologici o da deficit sensoriali. Il/La bambino/a dislessico/a può leggere e scrivere, ma riesce a farlo solo impiegando al massimo le sue capacità e le sue energie, poiché non può farlo in maniera automatica. Perciò si stanca rapidamente, commette molti errori, rimane indietro, non impara. La difficoltà di lettura può essere più o meno grave e spesso si accompagna a problemi nella scrittura e nel calcolo. Tuttavia questi bambini sono intelligenti e, di solito, vivaci e creativi.

DEFINIZIONE

Esistono diverse definizioni di dislessia, una delle più accreditate è quella dell’International Dyslexia Association:

“La dislessia è una disabilità dell’apprendimento di origine neurobiologica. Essa è caratterizzata dalla difficoltà di effettuare una lettura accurata e/o fluente e da scarse abilità nella scrittura (ortografia). Queste difficoltà derivano tipicamente da un deficit nella componente fonologica del linguaggio, che è spesso inattesa in rapporto alle altre abilità cognitive e alla garanzia di una adeguata istruzione scolastica. Conseguenze secondarie possono includere problemi di comprensione nella lettura del testo scritto e una ridotta crescita del vocabolario e della conoscenza generale, conseguente ad una ridotta pratica nella lettura”.

E’ importante riferirsi alla dislessia come ad una neurodiversità, ovvero come ad uno sviluppo neurobiologico atipico, che rappresenta però una manifestazione delle normali variazioni nello sviluppo umano. Possiamo facilmente asserire che tutti siamo diversi, o neurodiversi. Questa neurodiversità in alcune culture e società può determinare una disabilità in altre no. Quindi, una neurodiversità non determina una disabilità di per sé, ma solo ed esclusivamente all’interno della società in cui si manifesta. Se ci pensiamo, la dislessia in una cultura orale resterebbe una neurodiversità, ma non rappresenterebbe una difficoltà, né un disturbo, né una disabilità, poiché non si manifesterebbe neanche! In questo senso i Disturbi Specifici di Apprendimento rientrano nelle differenze individuali tipiche della neurodiversità umana, secondo cui ogni individuo si comporta in modo differente dagli altri. Conseguenza più importante di questa considerazione è quella di darci la possibilità di respingere l’idea che le differenze nell’apprendimento della lettura, scrittura e calcolo siano necessariamente disfunzionali e da correggere, ma piuttosto che, in quanto espressione della neurodiversità dell’individuo, siano da riconoscere, rispettare e, se necessario, trattare.  

CAUSE

In questi ultimi anni sono state intraprese diverse ricerche, a livello nazionale ed internazionale, che riconoscono l’origine neurobiologica del disturbo, che a sua volta determina una diversa modalità di funzionamento delle reti neuronali coinvolte nei processi di lettura, scrittura e calcolo. Inoltre sono stati confermati molti studi che hanno valutato la componente ereditaria e genetica del disturbo (PARCC.,2011).

Dal punto di vista funzionale, una delle teorie più accreditate ritiene che la dislessia sia causata da un deficit di processamento fonologico. Il fonema è la più piccola unità di suono nella parola. Per leggere occorre avere la capacità di associare velocemente le lettere, che rappresentano i fonemi, con i corrispondenti suoni orali. Gran parte degli autori riconoscono la competenza metafonologica, cioè la capacità di percepire e riconoscere i fonemi che compongono le parole, come uno dei requisiti necessari per l’apprendimento della lingua scritta. Questa competenza/consapevolezza aiuta il bambino a scoprire come trattare la parola orale per darle una veste scritta. Per accedere al codice scritto il bambino, deve riflettere su: quanti sono gli elementi all’interno della parola,quali sono gli elementi all’interno della parola,l’ordine sequenziale in cui sono posti, come si rappresentano. Questo spiega perché le difficoltà/disturbi del linguaggio sono indici di rischio per i Disturbi Specifici di Apprendimento.

DISLESSIA E DISTURBI SPECIFICI DI APPRENDIMENTO

La dislessia fa parte dei Disturbi Specifici di Apprendimento (DSA). La principale caratteristica di questo disturbo è la “specificità”, intesa come un disturbo che interessa uno specifico dominio di abilità in modo significativo ma circoscritto, lasciando intatto il funzionamento intellettivo generale. In particolare i DSA sono:

  • Dislessia: disturbo specifico della decodifica della lettura (in termini di velocità e accuratezza), quindi la lettura è più lenta e/o meno corretta delle aspettative, in base all’età o alla classe frequentata;
  • Disortografia: disturbo specifico della scrittura di natura linguistica (in termini di errori di ortografia);
  • Disgrafia: disturbo specifico della scrittura di natura grafomotoria (in termini di scrittura poco leggibile);
  • Discalculia: disturbo specifico del sistema dei numeri e del calcolo.

Le principali caratteristiche dei DSA sono:

  • Inattese e importanti difficoltà nella letto – scrittura e/o nei numeri e nel calcolo;
  • Difficoltà nella consapevolezza fonologica (difficoltà nel riconoscere quanti, quali e in che ordine sono i suoni di una parola);
  • Lentezza nell’AUTOMATIZZAZIONE di diverse abilità.

Alcuni bambini/ragazzi con DSA possono anche avere difficoltà di coordinazione, di motricità fine, nelle abilità di organizzazione e di sequenza, difficoltà nell’acquisizione delle sequenze temporali (ore, giorni, stagioni, ecc…).

COMORBILITÀ

Una caratteristica rilevante nei DSA è la comorbilità (in alcuni casi come “disturbo associato”). Questo termine significa che dislessia, disgrafia, disortografia e discalculia possono comparire insieme oltre che isolatamente.

La Consensus Conference (2007) ha evidenziato che nella pratica clinica si riscontra un’alta presenza di comorbilità sia fra i disturbi specifici di apprendimento stessi, sia fra DSA ed altri disturbi (disprassie, difficoltà/disturbi della memoria e dell’attenzione, disturbi del comportamento e dell’umore, ADHD, disturbi d’ansia, ecc.)

È importante considerare questa compresenza tra disturbi come una semplice contemporaneità, senza necessariamente derivarne una relazione di tipo causale; tuttavia, in alcuni casi di manifestazioni psicopatologiche in presenza di disturbi specifici di apprendimento, la comorbilità può essere anche la conseguenza dei vissuti derivanti dal disturbo.

COME PUÒ UN GENITORE RICONOSCERE LA DISLESSIA

È molto importante, una volta che si sospetti la presenza di un DSA, procedere ad una valutazione diagnostica il più precocemente possibile. Questo consentirà di capire quali sono le effettive difficoltà del bambino e come intervenire nel modo migliore.

Quali sono gli indicatori che possono far venire il dubbio di un DSA?

Va premesso che ogni dislessico è diverso dall’altro poiché la dislessia non è una entità monolitica.

Segue un elenco di tratti, comportamenti, abilità, differenze percettive o di sviluppo, che possono essere presenti in misura più o meno ampia negli individui dislessici. Nello scorrere l’elenco che segue, tanto più è alto il numero delle affermazioni in cui si riconoscono le caratteristiche del/la proprio/a figlio/a, tanto maggiore è la probabilità che si tratti di dislessia.

Sicuramente un’inattesa difficoltà nell’acquisizione della lettura e della scrittura è il campanello d’allarme più importante. Il/La bambino/a –ragazzo/a dislessico/a ha difficoltà che di solito compaiono già nei primi anni di scuola, a volte già nella scuola dell’infanzia e persistono negli anni seguenti.

Il/La bambino/a-ragazzo/a compie nella lettura e nella scrittura errori caratteristici quali:

  • Inversione di lettere e di numeri (es.21 vs 12);
  • Sostituzione di lettere (m/n;v/f;b/d;a/e …);
  • A volte non riesce ad imparare le tabelline, le poesie ed alcune informazioni in sequenza come le lettere dell’alfabeto, i giorni della settimana, i mesi dell’anno, ecc…;
  • Può fare confusione per quanto concerne i rapporti spaziali e temporali (destra/sinistra; ieri/domani; mesi e giorni) quando dovrebbe già averli acquisiti;
  • Può avere difficoltà ad esprimere verbalmente quello che pensa;
  • In alcuni casi sono presenti anche difficoltà in alcune abilità motorie (es. allacciarsi le scarpe).

A volte il/la bambino/a-ragazzo/a potrebbe manifestare anche problemi psicologici, con difficoltà nel rapporto con i compagni e/o con gli/le insegnanti fino ad un vero e proprio rifiuto della scuola, ma si tratta della conseguenza e non della causa delle difficoltà scolastiche (impotenza appresa).

Anche nella scuola secondaria persistono lentezza ed errori nella lettura, che possono ostacolare la comprensione del significato del testo scritto. I compiti scritti richiedono un gran dispendio di tempo. Questi ragazzi appaiono disorganizzati nelle attività sia a casa che a scuola, hanno difficoltà a copiare dalla lavagna e a prendere nota delle istruzioni impartite oralmente e in generale a fare tutto ciò che richiede l’esercizio di più compiti/funzioni contemporaneamente. Per questo e per tanti altri motivi perdono la fiducia in se stessi con conseguente alterazione della motivazione, dell’autostima, dell’umore e quindi del comportamento.

È importante ricordare, come già accennato sopra, che il disturbo specifico di apprendimento interessa uno specifico dominio di abilità (lettura, scrittura, calcolo) lasciando intatto il funzionamento intellettivo generale: quindi stiamo parlando di bambini/e e di ragazzi/e intelligenti, con quoziente cognitivo assolutamente nella norma (caratteristica indispensabile senza la quale non si può parlare di DSA).

Quando un genitore sospetta che il/la figlio/a sia dislessico/a, deve parlarne al pediatra e agli insegnanti e se tali figure confermano i sospetti, deve rivolgersi al Servizio di Neuropsichiatria Infantile della ASL di riferimento per la valutazione diagnostica. Se il Servizio Sanitario Nazionale non fosse facilmente accessibile (o fossero troppo lunghi i tempi di attesa) è possibile rivolgersi a specialisti privati nei Centri accreditati, all’interno dei quali si trovano équipe composte da professionisti specializzati rispetto a tali problematiche (secondo la Legge 8 ottobre 2010 n. 170 e le relative linee guida, l’articolo 8 quinquies del Decreto Legislativo 502/92 e successive modifiche ed integrazioni, il P.A.R.C.C. (2011) e la Consensus Conference (2007) il lavoro di équipe e la specializzazione dei componenti sono le caratteristiche necessarie per l’accreditamento di un centro privato autorizzato ad erogare certificazioni equiparate a quelle del servizio pubblico).

E’ importante sottolineare che la diagnosi definitiva è il risultato di una valutazione che dura alcune ore e non può essere formulata prima della fine della seconda classe primaria per la lettura e la scrittura, e non prima della fine della quarta classe primaria per il calcolo. È possibile però, già prima di questi periodi, dichiarare l’eventuale sospetto di DSA attraverso uno screening ed indagini specifiche. Questo permette di attivare tempestivamente gli interventi di prevenzione del disturbo. Un disturbo precocemente trattato può consentire al/la bambino/a di ottenere un buon livello di compensazione delle abilità e quindi di ridurre notevolmente le conseguenze delle future difficoltà scolastiche da tutti i punti di vista sia strettamente funzionali che psicologici.

 

La valutazione deve rispettare un preciso protocollo diagnostico che percorre alcune fasi :

  1. anamnesi;
  2. valutazione attraverso test che indagano il livello cognitivo; le abilità scolastiche strumentali (quindi la lettura la scrittura e il calcolo); in alcuni casi il linguaggio in relazione all’età in cui viene svolta la diagnosi; la valutazione delle funzioni cognitive di base (come l’attenzione, la memoria, le prassie);
  3. colloquio conclusivo di restituzione con relazione scritta;
  4. controlli di monitoraggio (ogni due anni o nelle fasi scolastiche di passaggio), poiché il DSA è un disturbo cronico ma in costante evoluzione, che cambia in relazione alle fasi di crescita.

 

Dopo la valutazione si definisce la “presa in carico”, ossia il processo integrato e continuativo attraverso cui deve essere garantito il coordinamento degli interventi: riabilitativi, scolastici, familiari (per aiutare i genitori a mettere in atto sistemi educativi funzionali alla specificità del/la figlio/a) e sociali.

I trattamenti di riabilitazione e la rete con la scuola, nello specifico con gli/le insegnanti del bambino/a-ragazzo/a, hanno lo scopo di mettere in atto tutte le procedure utili a ridurre le difficoltà scolastiche. I trattamenti infatti agiscono sulle conseguenze del disturbo, non sulle cause, per cui il disturbo non scompare, ma gli interventi messi in atto durante il percorso e le strategie didattiche individualizzate adottate dalle insegnanti, determinano un miglioramento delle prestazioni e quindi della motivazione ad apprendere. In questo modo vengono limitate le conseguenze negative associate all’autostima ottimizzando al tempo stesso le risorse positive e promuovendo lo sviluppo armonico dei/le bambini/e e dei/le ragazzi/e.

 

 

Dr.ssa Clara Codini

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